Parco Don Giovanni Baldini
Non poteva esserci omaggio migliore per don Giovanni Baldini che intitolargli un parco, dove bambini vocianti danno libero sfogo alla loro energia e fantasia, alla loro umanità. E se in questo mondo sempre più virtuale e sempre meno reale dovessimo immaginare una cerimonia d’inaugurazione con la presenza di don Giovanni (e certamente ci sarà anche se non lo vedremo) sarebbe certamente seduto sull’erba con un nugolo di giovani attorno a raccontare la storia del quartiere e della Chiesa di S. Vittore. Lo sguardo di don Giovanni corre attorno, rivedendo i campi che c’erano e che ora hanno lasciato il posto alle case, però senza nostalgie tipo “via Gluck” perché con le case e le persone è rinata la speranza. Vede poi lontano i camini della zona industriale e rivede l’impegno per dare un futuro a Ravenna:
“Eravamo convinti di dover sfatare la rassegnazione nella quale anche la politica dei piani Marshall ed ERP ci confinavano sine die.
Al centro dell’impresa l’uomo nella sua globalità di forza lavoro, di capacità tecniche, ma primariamente di forza morale. L’uomo nuovo uscito dalla lotta di liberazione.
Mattei, e con lui Cavalcoli, Zaccagnini, il sen Medici agivano quasi di fantasia e contagiavano dei propri entusiasmi collaboratori e tecnici dell’azienda, i quali spontaneamente e gratuitamente si impegnavano nella qualificazione della manodopera giovanile che faceva ressa ai cancelli, e si sentiva travolta sia dal nuovo e inedito lavoro che dallo spirito che affascinava. Anch’io mi son trovato dentro fino al collo a condividere questo ideale di rinascita morale ed economica.” (Anic)
Si rattrista solo al pensiero di tanti anziani soli che gli aveva suggerito un progetto allora innovativo di appartamenti “per la accoglienza degli anziani, in particolare soli, da gestire con la collaborazione di famiglie giovani, disponibili a questo servizio di ” adozione “, da gestirsi dalla Comunità cristiana; e che questo non è stato possibile realizzarlo per ragioni indipendenti dalla nostra volontà “(Anziani)
Sente anche la preoccupazione per il fiume di parole di cui ci inondano oggi i media: “si è parlato e scritto molto , e si continua a farlo, anche sui giornali cattolici, di trasparenza. Si chiamava chiarezza e cioè rispetto della verità e della giustizia nei rapporti con sè stessi e con gli altri al fine di raggiungere una ben ordinata convivenza in una comunità di uomini liberi e uguali. Senza di essa diventa impossibile la vita di relazione: si trasforma in contesa più o meno palese e violenta. (Sol7)
E’ una situazione difficile da affrontare se non si cerca ogni tanto un momento di pausa, di silenzio e di rapporto diretto con Gesù, nella preghiera: “ma il cristiano anche se parla in singolare prega sempre al plurale , perchè l’unica preghiera insegnataci da Gesù, PADRE NOSTRO, è al plurale: dentro ci sono tutti! Nessuno è escluso(Natale)
E così don Giovanni si accommiata ricordando che“Evangelizzare non significa fare proselitismo ma ripresentare Cristo, il suo significato e valore, nella nostra storia, nella vita della Comunità e in quella dell’intera umanità oggi “(Solida1)
e invitando tutti alla fedeltà al Vangelo: “certo il Vangelo provoca un’etica, ma è l’etica dell’amore e del dono, della sequela; l’etica della speranza della gioia e della vita : della fame e della sete di giustizia mai soddisfatte. Un’etica creativa al centro della quale è protagonista la persona, l’uomo nuovo nato dalla resurrezione e animato dallo Spirito che in noi ” grida !”, dice Paolo.L’etica di chi ha la missione di fare la verità nella carità.(SOL)
Grazie don Giovanni!